La fusione salverà il pianeta

di Livio Lazzeri

A breve avremo energia pulita in grande abbondanza

La fusione nucleare è il processo per cui due atomi di idrogeno si uniscono per formare un atomo di elio. Questo processo libera una enorme quantità di energia e non produce scorie, essendo l’elio un gas inerte. E’ il processo opposto a quello utilizzato nelle centrali nucleari tradizionali, detto fissione, che consiste nella scissione di un atomo di uranio in due atomi più piccoli, con produzione di pericolose scorie radioattive.

La fusione è il processo naturale, spontaneo, che alimenta il sole e le stelle. Il suo combustibile, l’idrogeno, è l’elemento più abbondante nell’universo e anche sulla terra; infatti, essendo l’idrogeno un componente della molecola dell’acqua, è presente in quantità enormi negli oceani. Insomma se si riesce a realizzare la fusione si risolve definitivamente il problema di avere energia pulita, a buon mercato, in abbondanza e per sempre, senza produrre né scorie né gas serra.

Il problema è che l’idrogeno fonde a una temperatura altissima. Sul sole fonde a 10 milioni di gradi, anche grazie all’enorme pressione che c’è al suo interno, che spinge gli atomi gli uni contro gli altri; ma qui sulla terra per far fondere l’idrogeno bisogna portarlo addirittura a 100 milioni di gradi. Questo fatto genera almeno due grossi problemi.

Il primo è che per riscaldare l’idrogeno a quelle temperature si spende molta energia e, perché la fusione abbia senso, bisogna che l’energia ottenuta sia superiore a quella spesa. Per il riscaldamento si usano le onde elettromagnetiche, come avviene in un comune forno a microonde. Agli inizi di Febbraio 2022, in un esperimento europeo, si è provocata una fusione della durata di pochi secondi, nella quale l’energia ricavata è stata di gran lunga superiore a quella spesa per provocarla. Il problema sembra quindi avviato a risoluzione.

Il secondo problema però è quello cruciale, decisivo: non esiste un contenitore capace di tenere al suo interno l’idrogeno a 100 milioni di gradi. Qualunque materiale si adoperasse per costruirlo, si squaglierebbe. Per fortuna a quelle temperature l’idrogeno è allo stato di plasma. Il plasma è il quarto stato della materia, quello a più alta energia, dopo quello solido, liquido e gassoso. In un plasma gli elettroni si sono staccati dai rispettivi atomi per dar luogo a un insieme di elettroni e ioni globalmente neutro. Le cariche elettriche libere fanno sì che il plasma risponda fortemente ai campi magnetici. Da qui l’idea di costruire un contenitore immateriale, invisibile, le cui pareti sono costituite appunto da un campo magnetico. Il contenitore è tanto più efficiente quanto più le sue pareti sono robuste, in modo da impedire la dispersione del plasma e quindi del calore. Come sappiamo, per generare un campo magnetico ci vuole una corrente elettrica: più grande è la corrente e più intenso è il campo magnetico. Per questo si è pensato di utilizzare i superconduttori, materiali capaci di essere attraversati da enormi correnti con poco dispendio di energia. Per quanto riguarda la forma geometrica del contenitore, si è pensato di adottare quella di un salvagente (toroide), con il superconduttore avvolto attorno.

Sulla base di questi principi, nel 2007 è stato avviato il progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), cui partecipano EU, USA, Cina, Russia, India, Giappone e Sud Corea. ITER si propone di realizzare un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale, in cui l’energia prodotta sia almeno uguale a quella spesa per creare il plasma. Si tratta di un impianto enorme, che occupa un’area di 40 ettari, in fase avanzata di costruzione a Cadarache, nel sud della Francia. I costi di costruzione stimati sono di almeno 15 miliardi di Euro (il 60% degli appalti se lo sono aggiudicato aziende italiane), quelli di esercizio 300 milioni/anno. L’accensione di ITER è prevista per il 2025, mentre gli esperimenti di fusione veri e propri inizieranno solo a partire dal 2035. L’energia prodotta, che è sotto forma di calore, non verrà utilizzata, ma verrà dissipata facendo evaporare dell’acqua. La durata operativa dell’impianto è prevista in circa 20 anni, con inizio della disattivazione già a partire dal 2038, e spegnimento definitivo entro il 2045. I risultati scientifici conseguiti da ITER saranno usati per costruire reattori a scopo commerciale. Quello studiato dal consorzio europeo Eurofusion si chiamerà DEMO, e la sua disponibilità è prevista nel 2050.

Ma intorno al 2015 si è verificato un evento eccezionale: si è resa disponibile una killer technology, quella degli High-Temperature Superconductors (HTS), scoperti nel lontano 1986 da due ricercatori dell’IBM, J. G. Bednorz e K. A. Muller, che per questa scoperta ricevettero il Nobel per la fisica nel 1987. Ci sono voluti quindi più di 20 anni per trasformare questa scoperta in un prodotto industriale. Questo perché gli HTS sono ceramiche, e quindi sono fragili e difficili da essere prodotti in fili; la soluzione è stata quella di far depositare un sottile film di HTS su un nastro d’acciaio. Rispetto ai superconduttori tradizionali, che funzionano a temperature intorno a -270°C, cioè prossime allo zero assoluto, gli HTS funzionano a temperature intorno a -200°C. Inoltre, cosa ancora più importante, gli HTS mantengono le loro proprietà anche quando operano in campi magnetici fortissimi. Il risultato è che con gli HTS si possono creare campi magnetici di una intensità enorme, mai raggiunta prima. Ciò significa che si possono creare contenitori di plasma più termicamente isolati e quindi molto più piccoli. E meno plasma significa anche meno energia per riscaldarlo. Ma un reattore molto più piccolo significa anche costi di realizzazione più piccoli, sostenibili anche da finanziamenti privati, a differenza degli ingenti costi di ITER, che possono essere sostenuti solo da un consorzio di stati.

Il Plasma Science and Fusion Center (PSFC) del Massachussets Institute of Technology (MIT), che da anni studia la fusione nucleare, ha colto la palla al balzo e nel 2018 ha costituito la start-up Commonwealth Fusion Systems (CFS) che punta direttamente alla realizzazione di un reattore a fusione di tipo commerciale, e non scientifico, usando gli HTS. Il suo programma prevede la costruzione prima di un reattore sperimentale denominato SPARC entro il 2025, e poi di un reattore commerciale denominato ARC entro il 2033, quindi con ben 20 anni di anticipo (sic!) rispetto ai programmi di ITER. ARC sarà semplicemente una nuova sorgente di calore con cui si potrà produrre vapore per alimentare una turbina e quindi un generatore elettrico.

La cosa più importante però è che le dimensioni di SPARC saranno ben 65 volte inferiori a quelle di ITER; di conseguenza saranno inferiori anche i costi, che non dovrebbero superare i 3 miliardi di dollari. Il primo giro di capitalizzazione di CFS si è chiuso nel 2019 a quota 115 milioni. ENI è stata la prima a metterci i soldi, investendo 50 milioni, che è anche la quota più alta; il che fa di ENI praticamente il socio fondatore di CFS. Ha partecipato anche Bill Gates, con la sua fondazione.

Nel settembre 2021 al MIT è stato messo a punto e testato il primo grosso magnete al mondo realizzato con HTS. Ebbene i risultati sono stati eccezionali: si è ottenuto un campo magnetico di ben 20 Tesla (il Tesla è una unità di misura, molto grande, del campo magnetico), il più potente nel suo genere mai realizzato sulla Terra (ci si potrebbero sollevare 41 torri Eiffel insieme). Rispetto al magnete di ITER, che è di 12 Tesla, questo è 40 volte più piccolo ma quasi il doppio più potente. Sono stati impiegati 268 km di HTS a -253 °C, con una corrente di 40.000 Ampère ed un consumo, incredibile a dirsi, di soli 30 Watt [sic!].

Questo esperimento era cruciale per dimostrare la fattibilità di SPARC. A novembre 2021, poco dopo questo successo, CFS ha avviato un altro giro di ricapitalizzazione che è durato solo un mese, e che ha raccolto ben 1,8 miliardi di dollari. Questa volta sono entrati anche i fondi d’investimento.

Purtroppo gli HTS si sono resi disponibili quando la costruzione di ITER era già a buon punto, e quindi non era più possibile cambiare. Comunque tra soli 3 anni, nel 2025, si accenderanno sia ITER sia SPARC e allora si potrà capire con più precisione quanto distanti siamo dalla meta. Insomma sembra proprio che la fusione nucleare, che rappresenta la soluzione definitiva e sostenibile a tutti i problemi dell’energia, sia questa volta a portata di mano.

[ Livio Lazzeri: ingegnere elettronico Ex dirigente IBM ed ex dirigente Sysdat.]

(Photo credit: hydrogen-6202836_1920 Pixabay)